Pizza napoletana

Andare a Napoli per mangiare la vera pizza napoletana (Patrimonio culturale immateriale Unesco dal 2017) è un vero e proprio pellegrinaggio, con tanto di chiese e adepti. Non potrebbe essere altrimenti visto che la preparazione come Dio comanda nel forno di casa non si può fare, e mettiamoci pure che, proprio perché i napoletani la maestria della pizza ce l’hanno nel dna, qui è invariabilmente più buona che altrove. Comunque se ne parli (e noi a Dissapore ne abbiamo parlato parecchio) la pizza napoletana a Napoli sfonda l’ovvio come una porta aperta e lo calpesta pure. Per questo motivo oggi vogliamo procedere per via semantica, e raccontarvi piuttosto delle altre ricette tipiche che prendono il nome di “pizza” ma non sono propriamente quella cosa lì.

Iniziamo dallo street food con la pizza fritta, retaggio del dopoguerra fatto di povertà e mancanza di forno a legna. L’impasto è richiuso su se stesso a forma di piscitello, battilocchio o mezzaluna, ripieno di quello che volete e fritto in olio bollente. A Pasqua c’è la pizza chiena, una frolla ripiena di ricotta, prosciutto e salame. Se è Natale, allora non potete perdervi la pizza di scarole, una focaccia al forno ripiena di scarola liscia, capperi, acciughe e olive nere.

Infine segnaliamo la pizza parigina: la trovate in qualsiasi rosticceria sormontata di pasta sfoglia e ripiena di pomodoro e prosciutto cotto. L’origine è imputata a un cuoco francese in servizio alla Reggia di Napoli che, incaricato di preparare una pizza rustica per la moglie di Ferdinando IV di Borbone, si inventò questa merenda. Devono avergli detto “è p’ a riggina”, per la regina: il nome sarà stato travisato, ma la ricetta è riuscita benissimo.