Genovese

Se pensate che a Napoli la pizza sia una cosa seria beh, non avete ancora sentito parlare della pasta. Facciamo un passo indietro nella storia della pasta secca in Italia: portata dagli Arabi in Sicilia, il suo uso si diffonde dapprima come contorno (e voi che inorridite davanti a certe tavole tedesche) e più tardi come piatto unico, specialmente tra i ceti più poveri. Gli storici della cucina Alberto Capatti e Massimo Montanari ci dicono che “La pasta rimase per lungo tempo un cibo tra i tanti. Ancora nel XVI secolo poteva essere avvertita come uno sfizio, una ‘delicatezza’ di cui si poteva fare a meno nei tempi di difficoltà”. L’entusiasmo tutto italiano per la pasta nasce proprio a Napoli, dove dal Seicento diventa il piatto di elezione del popolo che inizia a cibarsene quando il prezzo della farina scende e quello della carne va alle stelle. Il resto è storia, incisa sui cucchiai di legno napoletani da innumerevoli mescolate di sugo.

Il primo che vi raccontiamo è la genovese o genoesa in dialetto: su una base di carote, sedano e cipolle si fa soffriggere la carne, muscolo e spezzatino di manzo. Si aggiunge vino rosso, almeno un chilo e mezzo di cipolle, un bicchierino d’acqua e si fa cuocere a fiamma bassa per almeno cinque o sei ore. Unite alle candele spezzate, un formato di pasta liscio e cilindrico, e favorite.